03-06-2024
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Medicina
Epicondilite o gomito del tennista
Dott. Gianluca Fornara
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L’epicondilite (o “gomito del tennista”) è una patologia del gomito dovuta all’infiammazione del tendine comune del muscolo estensore del carpo e del muscolo estensore delle dita.
Il tendine è localizzato in prossimità dell’epicondilo, una sporgenza ossea dell’omero distale, nella parte laterale. Il paziente lamenta di solito dolore sul lato esterno del gomito, talvolta (a seconda della gravità dei sintomi) irradiato lateralmente all’avambraccio, al polso e al dorso della mano.
E’ una patologia degenerativa che, se non trattata, tende ad aggravarsi fino ad arrivare alla rottura completa del tendine.
Un disturbo simile può riguardare il versante mediale del gomito e i tendini flessori di carpo e dita, prendendo il nome di epitrocleite o “gomito del golfista”.
Epidemiologia e cause
E’ una patologia molto frequente. Si stima che in Italia una percentuale compresa tra l’1 e il 3% ne soffra o ne abbia sofferto. È più frequente nella fascia d’età compresa approssimativamente tra i 30 e i 60 anni. La categoria che più ne soffre è quella degli sportivi, nello specifico quelli che praticano tennis o sport di racchetta, bodybuilding, powerlifting, golf, baseball, scherma.
In realtà è una patologia da overuse, cioè da “microtraumi ripetuti” causati da movimenti ripetitivi e usuranti. Quindi si presenta spesso anche tra cuochi, sarti, artigiani, operai, barbieri, camerieri. Anche l’uso costante del computer (mouse e tastiera), soprattutto in una postazione non ergonomica, può scatenare la sintomatologia.
Diagnosi
Il paziente di solito giunge lamentando dolore nella regione laterale del gomito e dell’avambraccio, raramente fino al polso e alle dita, accompagnato da senso di debolezza. Riferisce difficoltà nel movimento combinato di gomito e polso, nell’afferrare oggetti e nel sostenerli. Spesso anche un gesto semplice, come una stretta di mano o girare una chiave, può scatenare il dolore. Frequentemente l’insorgenza è subdola, cioè compare solo durante certe attività o la sera, e solo in un secondo momento il dolore diventa costante.
La storia clinica del paziente (sede riferita del dolore, abitudini, sport, lavoro, tipo di sintomatologia) saranno utili per sospettare l’insorgenza dell’epicondilite. Durante la visita sarà importante localizzare con precisione la sede del dolore. Verranno, inoltre, testati alcuni movimenti riguardanti l’estensione del polso e delle dita, in cui si valuterà la forza e l’eventuale comparsa di dolore.
I test diagnostici più comunemente richiesti sono:
- Ecografia: la semplice ecografia, seppur operatore-dipendente, è un test che permette di diagnosticare con buona certezza l’epicondilite e di identificare la presenza di una sofferenza sia tendinea che muscolare;
- Risonanza magnetica: esame oggettivo, ma più costoso, che solitamente viene richiesto in caso di persistenza dei sintomi anche dopo il trattamento oppure nel caso in cui si sospetti una lesione del tendine.
L’esame radiologico è inutile e può mostrare solo l’eventuale presenza di calcificazioni nel tendine (che comunque verrebbero rilevate con le altre metodiche).
Trattamento
Per l’epicondilite sono disponibili trattamenti conservativi e chirurgici.
La durata della sintomatologia, soprattutto se i trattamenti non iniziano immediatamente, può essere prolungata ed è quindi richiesta una buona dose di pazienza!
Trattamento Conservativo
Nella prima fase, quella acuta, in cui è presente un intenso dolore, il trattamento conservativo avrà lo scopo principale di spegnere l’infiammazione e bloccare la progressione del danno tendineo.
Il medico potrà consigliare:
- Riposo: è fondamentale interrompere lo stimolo nocivo;
- Crioterapia: il trattamento con il ghiaccio, da ripetere più volte al giorno per circa 20 minuti;
- Tutore: l’applicazione di un tutore specifico (simile ad una fascia che porta pressione sui gruppi muscolari interessati) è utile per decontratturare i muscoli estensori del carpo e delle dita, togliendo tensione dall’inserzione tendinea. L’uso del tutore è utile per alleviare i sintomi ma non sostituisce gli altri trattamenti;
- Farmaci: vengono spesso consigliati cicli di antinfiammatori e miorilassanti, utili per ridurre l’infiammazione e togliere tensione dalla zona tendinea;
- Massoterapia: i massaggi contribuiscono all’azione decontratturante del tutore e dei farmaci e vengono effettuati sia nella regione tendinea che sui ventri muscolari;
- Mezzi fisici: Tecar, Laser e Ultrasuoni vengono spesso consigliati per il loro potere antinfiammatorio in cicli di 5-10 sedute, che possono essere eventualmente ripetuti. Anche le onde d’urto vengono spesso utilizzate, soprattutto in presenza di calcificazioni tendinee, nonostante le applicazioni possano risultare fastidiose.
Superata la fase acuta e risolta la sintomatologia dolorosa, sarà importante eseguire ulteriori cicli di fisioterapia volti a recuperare la funzionalità e la forza. Spesso, infatti, i trattamenti falliscono perché il paziente, scomparso il dolore, torna immediatamente alle normali attività (sportive o lavorative), determinando la ricomparsa dello stesso. In questa fase durante le sedute fisioterapiche gli esercizi saranno volti principalmente a recuperare la mobilità completa di gomito e polso libera da dolore e poi a recuperare la forza, con esercizi concentrici ed eccentrici, liberi e contro resistenza, gradualmente. Le sedute verranno poi distanziate nel tempo e sarà concessa la GRADUALE ripresa delle attività. La durata dei trattamenti appena descritti può variare da alcune settimane a pochi mesi.
Altri trattamenti
In alcuni casi l’epicondilite può essere resistente al trattamento conservativo.
Il medico può, quindi, proporre la terapia infiltrativa con semplice cortisone, informando il paziente che questo trattamento da una parte può essere risolutivo per la guarigione ma dall’altra può aumentare il rischio di sviluppare lesioni del tendine. Negli ultimi anni si sono resi, inoltre, disponibili anche trattamenti infiltrativi con i c.d. fattori di crescita.
Nei casi più resistenti (per fortuna pochi), che non rispondono a 6-12 mesi di trattamento, possono, invece, essere proposti interventi chirurgici che consistono nella bonifica (pulizia) del tendine, nella cruentazione dell’epicondilo o nella disinserzione del tendine stesso.
Dott. Gianluca Fornara
Ortopedia e Traumatologia
Specialista in Protesi di Anca e Ginocchio
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